Il Campo del Vasaio

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Tradimenti e nostalgia

Il Campo del Vasaio è un romanzo di Andrea Camilleri del 2008. un’altra piacevole indagine del Commissario Salvo Montalbano. Il titolo prende spunto da un famoso passo del Vangelo di Matteo, in cui si racconta che Giuda, accortosi dell’errore commesso nel tradire Gesù, restituisce i 30 denari, prezzo del tradimento. I sacerdoti, però, non potendo utilizzare quel denaro – sporcato dal sangue di un uomo – per scopi religiosi, decisero di acquistare il “Campo del Vasaio” per seppellire gli stranieri. In quel campo, in seguito, Giuda si tolse la vita impiccandosi ad un albero. Il Campo del Vasaio diventa, quindi, simbolo di tradimento. Il Tradimento. Che nel romanzo di Camilleri assume le forme più disparate. Il tradimento della moglie. Quello del marito. Quello del collega di lavoro. Ed il tradimento, anche, dello stesso Montalbano, giustificato – però – dal fine delle indagini.

Il romanzo si apre con un curiosissimo sogno in cui Montalbano riceve la visita di Totò Riina che, divenuto, presidente del consiglio, offre al commissario stupito la poltrona di Ministro degli Interni. Il sogno, per quanto surreale ed improbabile, offre però chiaramente la dimensione psicologica, critica, in cui versava Montalbano. Quello del romanzo è, infatti, un Montalbano stanco. Un Montalbano invecchiato, anche. Un Montalbano che si interroga sul significato della vita. Sulla propia esistenza, sul proprio lavoro. È un Montalbano al bivio. Che si abbandona a lunghissimi soliloqui, scrivendosi persino delle lettere onde ottenere un punto di vista obiettivo per le sue riflessioni. Ed è, infine, un Montalbano che sente su di sé diverse spine di nostalgia. E ritorna. Vorrebbe ritornare indietro nel tempo. Alla gioventù al periodo in cui nulla era ancora macchiato dal sudiciume pantanoso del tradimento. Il tradimento che prima o poi contagia tutti. E così il campo del vasaio, del romanzo, assume il ruolo di silenzioso protagonista della storia. Di regista indiscusso che agendo sullo sfondo tira le file delle sorti dei personaggi.

E il corpo che emerge, invischiato nella creta, tagliato a pezzi. – trenta pezzi, come i trenta pezzi d’argento di Giuda – diventa causa scatenante dell’indagine, ma allo stesso tempo è la conseguenza del pantanoso miasma di tradimento che per tutto il campo aleggia. Ed i personaggi, come ombre senza anima, si muovo su un telo bianco senza poter mutare il proprio destino.

Dolores, “bedda fimmina”, che suscita i pensieri più peccaminosi anche nel mite commissario, sino all’epilogo imprevisto eppur banale. Mimì, il vice di Montalbano, che da amico fraterno diventa antagonista e quasi traditore. Lo stesso Montalbano che percependo tutti i giri di tramidenti che si dipanano attornop a sé decide di prendere in mano la situazione, pur sacrificandosi nel più assoluto anonimato, al fine di risolvere la matassa ingarbugliata e delicata. Si percepisce che l’unico accenno di dinamismo proviene proprio dal commissario. Ma è un dinamismo fittizio, forzato, diretta conseguenza del destino e degli eventi stessi, un dinamismo che potrebbe essere definito romantico e che si concretizza tutto nelle ultime, amare, considerazioni che il narratore offre in chiusura di romanzo e che altro non sono che riflessioni pure e semplici dello stesso commissario:

Po’, negli anni, si era fatto pirsuaso che non era mancu un dio dell’ultima fila, ma sulo il povero puparo di ‘na mischina opira di pupi. Un puparo che s’arrabattava a fari funzionari la rappresentazioni come meglio putiva a e sapiva. E per ogni rappresentazioni che arrinisciva a pur tari a termini, la faticata si faciva ogni volta cchiù grossa, ogni volta cchiù pisanti. Fino a quanno avrebbe potut9o reggiri?”.
Qui la stanchezza, la malinconia, la nostalgia del commissario sono evidenti. Anche la sua disillusione. Una disillusione per la vita. Che non ha cura. Che può essere lenita staccando la mente e mettendosi a
taliare il mari che, a Vigàta o Boccadasse, sempre mari è”.

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